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AIF , 03 Ottobre 2013

Il Festival dell'Apprendimento - Padova
Intervista a Renato Di Gregorio

INNOVAZIONE NELLA PRODUZIONE, NEL LAVORO, NELLA SOCIETÀ: COSA OCCORRE ALLA FORMAZIONE PER FAVORIRE TUTTO QUESTO?

La formazione deve poter incidere sui sistemi generali di apprendimento dei giovani, mettendo in discussione la struttura della trasmissione dei saperi attualmente in uso nella Scuola e all’Università, nelle associazioni e nelle organizzazioni dove si attiva l’apprendistato e l’orientamento al lavoro. La struttura, infatti, in uso era valevole per la formazione di un individuo che, una volta formato, avrebbe dovuto semplicemente adattarsi a coprire i ruoli nelle organizzazioni create dagli adulti per sviluppare attività storicamente determinate. Oggi, bisogna creare lavoro che non c’è e ruoli e attività che gli adulti non hanno la capacità di creare e di rendere disponibili per i giovani. I giovani vanno dunque aiutati a “pensare” a “progettare” a “innovare” a “rischiare”, a cercare dentro di sé le potenzialità che consentono loro di avere il coraggio di inventare e di creare nuovo lavoro, rispettando e valorizzando comunque il patrimonio di vita e di storia di cui ancora l’umanità dispone e di maestri disponibili ad accompagnarne il “cammino”.
I primi naturalmente a dover essere formati sembrano essere proprio gli insegnanti, invece essi sono nella condizione più debole del processo di crisi in atto perché sono a diretto contatto con una realtà in tumultuoso cambiamento e vivono il proprio ruolo in un contesto che sembra non accorgersi del problema di fondo e che continua a sviluppare iniziative localizzate e su tematiche insorgenti, senza avere il coraggio o la lungimiranza di mettere in discussione il paradigma di base dell’educazione e della formazione dei giovani e di chi li educa e li forma.

PER RAFFORZARE IL RUOLO DELLA FORMAZIONE A SUPPORTO DELLO SVILUPPO, DOBBIAMO RINNOVARE METODI, STRUMENTI O ALTRO?

Intanto dobbiamo abbandonare la vecchia tradizione dei formatori di creare delle condizioni ad hoc per la formazione o di creare condizioni artificiali di vita e di lavoro nelle quali sviluppare la formazione. Bisogna abolire le normative istituite per certificare le sedi della formazione professionale, come condizione di base per usufruire dei finanziamenti pubblici per la formazione. La formazione va fatta all’interno della realtà quotidiana, in relazione ai problemi reali che vanno saputi affrontare e risolvere. Metodi, quindi, sicuramente come quelli proposti dalla metodologia della formazione-intervento® che, non solo mette le persone nelle condizioni di ruolo di destinazione per formarle ad esercitare il ruolo e a raccogliere con sempre maggiore autonomia le conoscenze e a sviluppare le competenze necessarie, ma addirittura chiede alle persone di progettare soluzioni innovative per risolvere i problemi che la persona, nel ruolo, è chiamata ad affrontare, stimolando così l’innovatività “praticabile” e la conseguente riflessività sull’apprendimento maturato e sul sistema stesso di apprendimento.
Vanno altresì abolite le strutture di controllo dell’erogazione formale della formazione finanziata e i software di gestione che esse hanno costruito. Tutto ciò va sostituito da strutture di supporto alla formazione e da sistemi di riconoscimento della qualità dell’erogazione e delle capacità-competenze di erogazione.

PER FACILITARE L’USCITA DALLA CRISI, SU QUALI ELEMENTI LA FORMAZIONE DEVE INVESTIRE?

La formazione è passata dall’attenzione sulla persona all’attenzione sull’organizzazione. Ma deve fare ancora un ulteriore sforzo e passare: all’attenzione sul territorio. Il territorio è un nuovo contesto organizzativo che consente di coniugare la formazione delle persone con gli obiettivi di sviluppo economico e sociale di valenza strategica così da trovare soluzioni condivise per il superamento della crisi e, al tempo stesso, motivazioni e finalizzazioni concrete per l’investimento formativo, oltre che conforto e apprezzamento sociale per la cooperazione tra gli esseri viventi, pur nella loro condizione di appartenenza funzionale ai ruoli sociali e a quelli organizzativi.
Peraltro la condizione territoriale dell’organizzazione è l’unica che considera quella dimensione sistemica entro cui si collocano tutti gli esseri viventi nella loro interrelazione vitale che ci fa superare l’esiguità dell’approccio formativo limitato solo agli esseri umani.
Sposare questo approccio, che chiamiamo dell’O.T. (Organizzazione Territoriale), significa lavorare su processi formativi che attraversano le organizzazioni funzionali presenti nel contesto territoriale e che mettono insieme attori con interessi diversi facendo loro scoprire l’efficacia delle interrelazioni finalizzate a obiettivi comuni che favoriscono, nel loro divenire, la ricomposizione del mosaico della vita sociale che noi abbiamo spezzato e suddiviso all’epoca della rivoluzione industriale.
I formatori hanno, in questa visione, una nuova speranza e una nuova missione perché non devono più lavorare sull’adattamento dell’uomo al lavoro o alla liberazione dell’uomo dai vincoli che lo limitano, ma hanno la possibilità di far dialogare gli uomini e le organizzazioni che essi hanno creato per ricomporre un sistema sociale nel quale ognuno sa quanto apporta al sistema e quanto il sistema porta a se stesso.

 





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