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PROGETTARE PER APPRENDERE NELLA PUBBLICA
AMMINISTRAZIONE
Renato Di Gregorio
ed. Guerini e Associati
Anno 2000
228 pp. - 23 cm
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Introduzione
Questo è un libro che parla della formazione nella
pubblica amministrazione, ma è anche un libro che si
sofferma con pignoleria sulla differenza tra la formazione,
così come più generalmente la s’intende,
e la formazione-intervento, che da diversi anni cerco di illustrare,
ma soprattutto di praticare.
E’ un libro in cui avrei voluto citare nomi, circostanze
e personaggi, ma poi, proprio perché ci troviamo nel
settore pubblico, dove spesso gli amministratori di oggi rigettano
per principio quello che hanno fatto i loro predecessori,
ho preferito soffermarmi sul «caso» in quanto
tale e leggere la parte metodologica anziché quella
sociale, pur altrettanto importante.
Forse in un prossimo libro troverò anche il coraggio
di narrare quello che sta dietro i processi, i metodi e i
risultati!
Ho scritto quello che leggerete pensando ai giovani e al
personale della pubblica amministrazione, non certamente ai
colleghi.
Infatti non troverete dentro il testo le citazioni, non ci
sono riferimenti bibliografici, ne schemi di autori famosi.
Al riguardo c’è solo una sorta di ringraziamento
morale ad alcuni personaggi che hanno contribuito alla mia
formazione teorica e in fondo, nello spazio dedicato alla
bibliografia, il novero di quei testi che si possono consultare
per chi volesse approfondire qualche aspetto che trova più
interessante. I giovani hanno letto fin troppo e certamente
sanno bene dove andare a cercare i testi da consultare, mentre
penso che abbiano set di esperienza e amino maggiormente il
racconto, ma soprattutto abbiano bisogno di guardare e pensare
in modo diverso da come la tradizione scolastica li ha abituati.
Devono a mio parere osare di più, analizzare meglio
e uscire dalla segmentazione specialistica a cui gli studi
li hanno abituati. Il personale della pubblica amministrazione
deve fare invece esattamente il contrario! Deve avvicinarsi
alla lettura manageriale, senza essere spaventato dalla terminologia
specialistica che la contraddistingue, per essere invogliato
a trasformare ciò che è l’esperienza vissuta
in una forma tangibile e quindi discutibile. Fino a ieri la
vita e le regole organizzative dentro la pubblica amministrazione
erano sconosciute alla maggior parte dei consulenti aziendali,
oggi, dopo alcuni anni di lavoro intenso al suo interno, consentito
dal cambiamento indotto dalle nuove leggi sul decentramento
amministrativo, dall’ingresso dell’Italia in Europa
e dal nuovo atteggiamento degli italiani rispetto ai partiti,
dall’ultimo scrollone che l’informatica di internet
ha dato alla burocrazia delle “carte”, si è
di fronte ad una realtà abbastanza chiara per le sue
caratteristiche, per i suoi pregi, ma anche per i suoi grandi
difetti. Valorizzare i pregi e superare i difetti delle organizzazioni
è una tipica attività di sviluppo organizzativo
che richiede interventi strutturali, ma soprattutto un grande
mutamento dei valori di fondo che contraddistinguono la cultura
di chi sta dentro quelle organizzazioni e di chi le accetta
per come sono e per chi preferisce che rimangano come sono.
Noi invece le vogliamo diverse e siamo sicuri che molte persone
dentro quelle organizzazioni vorrebbero cambiare il loro modo
di lavorare e le finalità per cui lavorano perché
vogliono maggiore rispetto per se e per il lavoro che fanno
e vogliono dare un contributo molto più fattivo al
contesto sociale a cui loro stessi e i loro familiari appartengono.
Ma per cambiare bisogna parlare, comunicare, farsi forza
l’un l’altro, avere il coraggio di dire. «Ho
provato, forse ho fatto qualche errore, ma ci riproverò,
sono pronto ad ascoltare consigli, ad apprendere qualche tecnica
in più, a registrare qualche accortezza maggiore».
E’ per questo che bisogna scrivere, raccontare, descrivere,
registrare, formalizzare, diffondere, confrontare, animare,
esprimere, e senza la paura di non conoscere tutti i teorici
dell’apprendimento organizzativo o delle strategie competitive,
o delle risorse umane.
Ho dunque cercato di usare un linguaggio discorsivo così
come avrebbe fatto chiunque di quei magnifici personaggi che
ho incontrato nelle mie esperienze e che fanno parte –
strano a credersi – sia ai vertici di alcune grandi
organizzazioni pubbliche che a livelli molto operativi di
piccoli comuni.
Ho anche detto di aver voluto approfondire con una certa
pignoleria il tema della formazione-intervento, già
peraltro abbondantemente toccato nei miei precedenti libri:
La formazione-intervento e Progetti di cambiamento. L’ho
fatto non tanto per una mira scientifica o per acclarare la
paternità per un metodo di formazione che si va diffondendo,
quanto perché ho voluto mettere in guardia questi miei
amici lettori e sollecitarli a essere esigenti nei riguardi
di coloro che si dichiarano formatori e che vengono pagati
con il denaro pubblico per aiutare i giovani a costruirsi
una vera professionalità e i dipendenti pubblici a
cambiare la loro organizzazione. L’ho fatto anche per
un altro motivo e cioè quello di stimolare questi cari
amici a cercare anche dentro di se le potenzialità
per sviluppare un progetto di cambiamento cercando aiuti –
e Dio sa quanto ne ha bisogno chi si accinge a cambiare e
quante volte noi tutti ricadiamo nel tentativo di farlo –,
ma non alibi, compagni di viaggio e non sostituti.
Ho toccato con mano che condizioni impossibili sono diventate
realtà entusiasmanti e che ambienti scettici si sono
a un punto animati, contesti acidi e conflittuali si sono
trasformati in comitive impegnate e cooperative, persone inquadrate
in mansioni bassissime parlare ai forum pubblici con proprietà
di linguaggio organizzativo che avrebbero fatto invidia ad
un docente universitario. Tutto ciò è stata
conseguenza di una sola condizione: credere che quelle persone
avrebbero potuto progettare un cambiamento, sempre che fossero
state messe in condizione di farlo e se avessero superato
il primo scoglio che è costituito dalla paura di non
farcela, seguito dalla difesa che poi tutto è inutile,
che è l’ennesimo inganno, che è un gioco
che non conoscono e che qualcuno vuol far loro giocare.
In un incontro un preside della Regione Molise mi disse:
«ma mi dia solo una ragione perché io diventi
manager e faccia un progetto con questi miei colleghi, visto
che non possiamo parlare di soldi e di carriera»; risposi:
«lo faccia per rendere questa terra più accettabile
per i cittadini che la vivono, compreso lei e i suoi familiari!
Lo faccia per sentirsi parte di questo grande progetto!».
Non so se la risposta fu giusta, ma so che l’intensità
con cui mi espressi deve aver fatto trasparire la veridicità
del mio sentimento e la passione con cui stavo lavorando assieme
a loro, tanto da indurlo a continuare con lena il suo progetto
assieme ai colleghi.
Un’altra volta, assieme a centocinquanta professori
di scuola, in un pomeriggio a Campobasso, ci mettemmo a progettare
una campagna di comunicazione per illustrare il nuovo ruolo
della scuola. Dopo aver vinto le incertezze e la diffidenza
iniziale nelle prime tre ore di dibattito in plenaria, progettammo
insieme per un’ora una cosa che alla fine era abbastanza
decente!
Insomma quello che ho appreso io stesso in queste numerose
esperienze con il mondo della pubblica amministrazione è
che progettare da il senso del potere a chi non ce l’ha,
suscita potenzialità che non si osa di riconoscere
a se stessi, sviluppa curiosità che non ci si consente
più di avere, anima una cooperazione che abitualmente
si evita per timore di rimetterci, si ricomincia a cercare
qualcosa che si è abbandonato di trovare, si riscopre
la voglia d’imparare. E’ da qui che ho preso lo
spunto per sottolineare l’importanza della progettualità
quale strumento per apprendere ed è da qui che ha preso
il nome questo libro: progettare per apprendere! Ringrazio
chi ha fatto con me i progetti che racconto perché
anch’io assieme a loro ho imparato e ve l’ho voluto
raccontare.
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